La playlist del poliglotta

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di Greta Giacobini

Lingue a suon di musica

Se aedi e rapsodi si prendevano la briga di cantare i poemi omerici anziché annoiare il loro pubblico con una lettura monocorde – come invece amava fare la mia prof del liceo – un motivo doveva pur esserci. A spiegarlo è la scienza, convinta della connessione indissolubile tra attitudine musicale e apprendimento linguistico. Considerata l’equivalente del linguaggio, la musica pare infatti condividere alcuni circuiti cerebrali con la parola, come dimostra l’alterazione nella percezione del ritmo che spesso accompagna, insieme a carenze visivo-spaziale, la ben nota dislessia. Oltre che test clinico, la canzone si configura così come un fedele alleato nell’ambizione di padroneggiarne la lingua. Al di là degli innegabili benefici neurofisiologici, il gran vantaggio della musica è che c’è, ed è ovunque. Che sia la fastidiosa cantilena di una pubblicità sulla riparazione di cristalli auto o le note su cui la lavatrice annuncia di aver concluso il ciclo, le onde sonore sono la costante della nostra epoca. E, come ricorda qualcuno, “it is difficult for us to ignore a sound […]; we don’t have a […] mechanism for ‘closing our ears’. It is possible for us not to ‘listen to’ something, but we will probably still ‘hear’ it”. In altre parole, l’apprendimento passivo si accontenta del “sentire” laddove l’ “ascoltare” non sia contemplato.

“We will, we will rock you”

Non è utopico immaginare un ultrà in outfit sportivo mentre mastica i versi – o meglio, un verso – di “We will rock you” nella curva sud di qualche stadio di calcio. Chissà se i Queen sarebbero contenti di sapere il loro ritornello storpiato in un goffo “Wi woo, wi woo rok iu” nella bocca di tifosi invasati. Quel che è certo è che chiunque, seppur in misure (e doti canore) diverse, saprebbe cinguettare sulle note del singolo degli anni ’70. Discutibile body percussion annessa. Basterebbe quindi prestare un po’ più di attenzione al pezzo della band inglese per scoprire, nei suoi lyrics, che gli specchietti grammaticali piazzati a centro pagina nel manuale delle medie non erano poi così impalpabili. La ripetizione – al di là di inni da stadio ululati nell’unico, infelice obiettivo di fare rumore – si rivela così il miglior ausilio per interiorizzare i capisaldi della lingua, dal lessico alla prosodia. Ecco dunque che i rockettari di Freddie Mercury ci ricordano l’uso del modale “will” per evocare il futuro, Beyoncé ripassa con noi le ipotetiche in “If I were a boy” e Dua Lipa si premura di insegnarci l’imperativo negativo con la sua “New rules”. Ma la produzione discografica mondiale non si limita alla grammatica. Anzi, la sua ampiezza sconfinata – basti pensare che Spotify accoglieva 7 milioni di titoli già nel 2023 – permette all’appassionato language learner di esplorare accenti e registri, dal londinese pulito di Adele all’irlandese abrasivo di Damien Dempsey, capace di far suonare un “I love you” come una minaccia di morte.

Istruzioni per l’uso

Bene, la vostra playlist personalizzata è pronta. Lasciarla ronzare in sottofondo mentre scalpitate nel traffico della A1 allo snodo di Bologna è un buon inizio, ma si può fare di più. Se c’è una regola su cui i più edotti tra i linguisti si proclamano d’accordo, è che nulla sia più funzionale del karaoke. La pratica giapponese pare infatti un esercizio a tutto tondo, fusione di ascolto, comprensione, lettura e produzione. Che poi l’imitazione sia fuori tempo, fuori nota e fuori dal comune buon senso, quello è un altro problema. Per affinare la comprensione orale, può essere utile seguire i lyrics del pezzo da un altro dispositivo, interrompendo la riproduzione ogni qualche verso per cimentarsi in una prima performance a cappella. La caparbietà, poi, è la chiave dell’apprendimento: complici della memoria semantica, i ritornelli pop vanno replicati fino a diventare veri e propri mantra tibetani, con la differenza che, invece di raggiungere l’illuminazione – o, perché no, anche quella – finirete per ricordare ogni verso delle hit estive più martellanti. E anche quando le ripetizioni sembreranno sufficienti perché possiate esibirvi in live al fianco dell’artista, una sensuale Britney Spears suggerisce “baby, baby one more time”.

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ALBERT EINSTEIN
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