di Greta Giacobini
Identikit della Valley Girl
Chioma biondo platino, mini-gonna inguinale e sguardo oscurato da folte ciglia finte. Paragonare le Valley Girls alle bambole firmate Mattel significherebbe ridurre le giovani californiane a marionette dal corpo cavo. E non sarebbe poi così sbagliato. O almeno, è in questi termini che le descrive l’oscuro stereotipo che relega le vamp di San Francisco entro i confini dell’edonismo da oltre 40 anni. Le “ragazze della valle” – così denominate perché è nella San Francisco Valley che la tanto discussa specie autoctona affonda le sue radici – rispondono a una specifica etichetta femminile. Un’etichetta infelice, eppure spesso desiderata da chi ambisce a fare della propria apparenza un faro per falene. Figlia della classe bianca di ceto medio-alto, la Barbie di Los Angeles si distingue così per la sua natura frivola e superficiale. Nel suo identikit emergono testa fra le nuvole e una cura spropositata della propria apparenza, a scapito – così prescrive lo stereotipo – di cultura ed intelletto. Avide frequentatrici dei “mall” statunitensi, le ventenni a stelle e strisce combaciano talvolta con le Material girls celebrate da Madonna in un ritornello fastidioso almeno quanto l’eloquio acuto delle sue protagoniste. It’s, like, so annoying!
La linguistica di Kim K
Se personalità del calibro di Kim Kardashian trovano spazio in queste pagine è perché una – 1 – cosa interessante l’hanno fatta davvero. E quella cosa, strano a dirsi, è parlare. Dotato di fonetica e lessico proprio, l’ingrediente delle “arricchenti” conversazioni tra Valley girls è a tutti gli effetti un socioletto, inteso – così recita Treccani – come la “varietà di un dialetto o di una lingua usata da una particolare categoria sociale”. Come per riecheggiare ancora una volta la fisionomia del territorio che l’ha partorito, il jargon in questione prende il nome di Valspeak e si carica di tratti distintivi che vale la pena attenzionare qui con approccio oggettivo. Tale è, del resto, l’etica del linguista e di chi ambisce a diventarlo: spogliarsi dei pregiudizi e dedicarsi a una descrizione imparziale sono i compiti del professionista della lingua. Esprimere un giudizio sui suoi locutori, quello invece non lo vieta nessuno.
Uptalk o… uptalk?
Conversare con una Barbie in carne ed ossa comporta, oltre alla necessità di rimettere in discussione il sistema educativo mondiale, la sensazione di essere vittime di un’inchiesta senza fine. Tratto peculiare delle locutrici native, il cosidetto “uptalk” – anche noto come “high rising terminal” – si traduce infatti in un’intonazione ascendente che conferisce una peculiare veste interrogativa anche alla più solida tra le certezze. Così, quando il resoconto “I went to the store yesterday” suona più come uno scettico “I went to the store yesterday?”, si insinua nell’ascoltatore il dubbio che, forse, la giovane acquirente non soffra di una qualche forma di Alzheimer. Molto si è discusso sulle ragioni del curioso fenomeno linguistico, in uno scacchiere di ipotesi che copre tutte le sfaccettature dell’umano. C’è chi, tra gli esperti, suggerisce che l’impostazione interrogativa permetta di mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore, costantemente sulle spine nell’attesa di essere interpellato. Altri immaginano si tratti di un caso di “floor holding”, espediente impiegato per informare l’interlocutore che la replica della Valley Girl non si è ancora esaurita. Qualcuno, infine, segnala una somiglianza tra l’uptalk e la tradizionale domanda retorica, come se quel “I went to the store yesterday?” sottintendesse, prima del misterioso punto di domanda, un “right” assetato di conferme.
Il vocal fry del fumatore
Le opzioni sono due: condividere i geni con le Valley Girls o – e non so cosa sia meglio – fumare un etto di tabacco al giorno. Non c’è altra strada se l’obiettivo è quello di imitare la qualità di voce delle tentatrici californiane, note per il cosiddetto “vocal fry”. Pecepito come una sorta di crepitio, il tono raspante e gutturale delle giovani donne è frutto della vibrazione irregolare delle corde vocali. Se, sulla bocca degli uomini, il vocal fry è sinonimo di seduzione, eleganza e pubblicità di profumi registrate su una barca al largo di Capri, gli utenti femminili non hanno la stessa fortuna. Associate a pigrizia e svogliatezza, le donne che adottino questa frequenza sonora sono statisticamente ritenute come meno degne di fiducia e meno idonee all’assunzione. Del resto, ogni scusa è buona.
Filler words: l’arte del non dire
A bordo della montagna russa linguistica guidata dalle norme dell’uptalk siedono passeggeri tutti speciali. Si tratta dei riempitivi – o “filler words” – utili a colmare vuoti di pensiero senza aggiungere valore semantico alla frase che li ospita. Così, nel breve enunciato “So, um, like, I said hi and he was like, so surprised”, so, um e like veicolano tutti la stessa notifica: “abbi pazienza, adesso ci arrivo”. In altre parole, le filler words preferite dalle americane – equivalenti del “tipo” e del “c’èh” di cui abusano gli under 30 italiani – contribuiscono a diluire il messaggio e dilatare i tempi di comunicazione. I minuti così risparmiati saranno utili alla scelta ponderata del lessico che distingue le discepole di Kylie Jenner dal parlante medio. Whatever come segno di meraviglia, totally come esasperazione di “very”, grody per “dirty” e bitchy per “excellent” sono solo alcune delle inesauribili perle linguistiche che fanno delle Valley Girls le matrici di un curioso socioletto.
Linguiste in minigonna
Arrovellarsi per decifrare il codice delle Valley Girls è una missione iperbolica. Non poi così distante dal “corsivo” che minaccia di contagiare più della metà della gioventù milanese, il Valspeak è pane per i denti degli ambiziosi linguisti lungo il fuso orario di San Francisco e non solo. Perché milioni di aspiranti Cher Horowitz sentano il bisogno di inserire un “like” ogni cinque parole e inarcare la voce alla fine di ogni frase, questo bisognerebbe chiederlo alle dirette interessate. E, a quel punto, l’accademia dei linguisti si popolerebbe di minigonne e tacchi a spillo.
Clicca qui per scoprire se tra i nostri insegnanti madrelingua si nasconde una frizzante Valley Girl.